Oyster Stout, la birre con l’ostrica… dentro!
Uno degli Stili meno diffusi, e decisamente borderline, nel panorama brassicolo mondiale.

Lo so, quando si parla di ostriche, la nostra mente corre veloce al binomio con lo champagne, ma non è stato sempre così.
Ben prima che il monaco Pierre Pérignon rendesse mousseux il vino a sud delle Ardenne, dall’altra parte della Manica, senza spostarci di molto, gli Inglesi avevano involontariamente già creato un grande abbinamento gastronomico: birra ed ostriche.
La nostra prestigiosa bivalve, simbolo iconico, per eccellenza, del luxury-food moderno, prima di imbandire, da perfetta premiére dame, raffinati ed opulenti convivi su trionfi di ghiaccio, ha posseduto natali assai umili e modesti.
PROLETARI DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI CON UNA OSTRICA
So di spezzarvi il cuore, ma, udite udite, le salate (in tutti i sensi) ostriche erano il budget-meal per eccellenza del Regno Unito, il cibo più diffuso nella Working Class dell’epoca.
La prossima volta che vi chiederanno 15,00 € per tre Bélon li guarderete con malcelato disprezzo, ah… quando finisce un amore.
Il motivo è semplice: le scogliere d’Inghilterra ne erano davvero stracolme, e non costavano nulla, se non la fatica di andarsele a raccogliere.
E non solo sull’isola Albionica, ma anche in Irlanda, Francia, Belgio, Olanda, ed in tutte le Isole del Canale.
E quale bevanda poteva accompagnare la cena di un operaio britannico se non una buona Stout, l’impenetrabile scura, dagli intensi sentori torrefatti?
Questa birra, oggi simbolo d’Irlanda, da noi italiani gergalmente definita “tipo-Guinness”, è invece nata a Londra, ai Docks, come birra ufficiale dei Porters, i camalli del porto sul Tamigi.
Ricca di gusto, ma economica, per essere adatta alle loro tasche, in poco tempo divenne di gran moda in tutti gli strati sociali della popolazione, mandando in pensione la bionda.
Cibo più diffuso più birra più diffusa, il passo verso l’accoppiata vincente è breve.
Le ostriche, già nel XVIII sec., erano le arachidi tostate e salate di oggi, e campeggiavano su banconi di pub e taverne, come spuntino fra una pinta e l’altra.
Se ne consumavano talmente tante che i produttori brassicoli britannici impararono ad utilizzarne i gusci frantumati, ricchi di carbonato di calcio, per migliorare la birra; l’ostrica è un po’ come il maiale, non si butta via nulla!

DA BIRRA ED OSTRICHE, AD OSTRICHE NELLA BIRRA
Questo fino al 1929, quando uno sconosciuto mastro birraio neozelandese decise di infilare nel proprio mosto, direttamente in bollitura per una trentina di minuti, l’ostrica, tutta, guscio e mollusco compresi!
Non sappiamo se per errore, incoscienza o divina folgorazione, ma era nata l’Oyster Stout, una delle birre più unconventional della storia.
Scura, morbida, leggera (4,5%/6%), dove il dolce e l’amaro incontrano il sapido e l’umami, e si riconoscono, assieme agli usuali caffè, cioccolato e caramello, note iodate e salmastre; insomma, come un caffè preso in riva al mare.
Non passò molto che il birrificio londinese Hammerton, a Barnsbury, emulò la ricetta, portandola, nel 1939, dal Dominio britannico tasmaniano alla Capitale.
Fu un grande successo poiché le persone erano già abituate a consumare Stout ed ostriche.
Ma lo sappiamo, le mode inesorabilmente passano, e nella City tornarono alla ribalta, nuovamente, le platinate Ale, decretando la fine delle Stout e di tutte le sue figlie, Oyster comprese.
Inoltre, a causa dell’eccessivo sfruttamento e consumo delle nostre amate conchiglie, ma anche per le conseguenze della Rivoluzione Industriale e dei reflui di scarico nella Manica, il paradiso dell’ostrica ebbe un irreversibile tracollo, andando a riposizionare la bivalve come cibo di lusso.

OYSTER STOUT, LA BIRRA D’IRLANDA
La breve, ma lucente, meteora delle Oyster Stout trovò casa su due vicine isole, meno industrializzate e decisamente più povere: Irlanda ed Isola di Man, dove divenne, pur rimanendo un prodotto di nicchia, la firma della produzione brassicola locale, e da qui, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, conquistò gli Stati Uniti.
Se in Inghilterra gli attuali esempi, come quello del birrificio Marston’s di Wolverhampton, mantengono l’ostrica solo nel nome, per ricordarne il passato o per suggerire un abbinamento, nelle produzioni isolane o statunitensi, come la più famosa Oyster Stout di Porterhouse Brewing di Dublino, il mollusco si utilizza ancora tutto.
E in Italia? Due gli splendidi esempi che la rinomata fantasia del Belpaese ha saputo partorire, ovviamente in salsa nostrana, che vi invito a provare: la primogenita “Perle ai Porci” del Birrificio del Borgo di Rieti, con ostriche Fin de Claire bretoni e Telline del Litorale Romano (Presidio Slow Food), e la meneghina “Impe Stout” del Birrificio Lambrate, con cozze ed alga dulse.
Un ultimo consiglio? Se vi capita di passare da Dublino, dirigetevi, senza indugio, al Porterhouse Temple Bar, nell’omonimo quartiere, dove ogni sera si consuma, ancora oggi, il matrimonio fra Oyster Stout e pregiati molluschi.
E già che siete sull’Isola Smeralda, ricordatevi che nella città portuale di Galway, sulla costa occidentale, ogni anno a settembre, si svolge il Galway International Oyster Festival, il più importante evento dedicato alla bivalve, dove poter sorseggiare tutte le migliori Oyster Stout in abbinamento con le ostriche.
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