LO ZORRO DELLA BASILICATA: IL #SAGGIO AGLIANICO DEL VULTURE
Giuditta Padoan
Una zeta che squarcia una tela nera e non ci sono dubbi: il leggendario Zorro è passato di lì!
E anche questo Aglianico del Vulture di Quarta Generazione, un rosso tenebroso e temerario come l’eroe latino, lascia un segno indelebile sui sorrisi di chi lo beve e si firma in etichetta con il suo marchio di fabbrica: una macchia rosso purpurea.
Dal temperamento deciso, corposo, con un tannino graffiante e macho è il rosso potente adatto ai bevitori con gli attributi.
Un vino con un carattere #Saggio per necessità e non per scelta.
D’altronde nasce in Basilicata, una terra passionale e a volte ruvida, a cui ci si deve adattare per sopravvivere. Qui i vigneti si arrampicano sulle pendici del Monte Vulture, un vulcano a sette punte, ormai spento, da cui le viti succhiano tutta quella mineralità che ritroviamo nel calice.
È inattivo, sì, ma è preceduto da una fama da brividi: si narra fosse “terribile e ardente”.
Sarà per il timore che ha sempre incusso questo imponente e millenario guardiano, che la Basilicata è rimasta per anni, un luogo inesplorato da cui i più codardi si tenevano alla larga.
Tanto che si iniziò a sospettare che anche questa regione, come il Molise, non esistesse. Che fosse solo leggenda.
È servito il film di Rocco Papaleo “Basilicata Coast to Coast” per sciogliere ogni dilemma e svelarne le sue meraviglie.
Ma, per i più dubbiosi, per chi pensa che il cinema sia solo finzione, ecco la prova in carne ed ossa, o meglio, in antociano e tannino, della sua esistenza: l’ Aglianico del Vulture di Quarta Generazione.
E che grinta ragazzi!
Non è certo uno di quei vini #Saggi con cui fare due chiacchiere seduti su un divano, mentre ci dispensa consigli e frasi incoraggianti.
Schivo e misterioso – devi scovarlo tra gli scaffali in enoteca – si manifesta all’occorrenza e ti intrattiene il palato come un avvincente duello tra spadaccini, pieno di prodezze e acrobazie.
Ma ha un animo raffinato. Come Zorro nasconde un’identità segreta.
Dietro quel mantello scuro e un’acidità affilata come una lama, cela un naso elegantissimo.
Poco a poco, mentre prende confidenza con l’ossigeno, sprigiona una complessità di aromi che non ti aspetti, e si apre su note di violetta, cannella, pepe nero, chiodi di garofano e frutta rossa matura.
E conosci l’altra sua faccia, quella più gentile e colta di Giovanna Paternoster, la produttrice lucana che porta avanti la tradizione enologica di famiglia, arrivata ormai alla quarta generazione appunto.
Molti lo definiscono il Barolo del Sud, ma a me piace chiamarlo La Volpe del Vulture.